TRE LEZIONI SULLA LUCE E IL COLORE

Kazimir Malevich
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 7 dicembre 2013
RINEGOZIARE GLI ATTI MANCATI
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Lezione 1. Ne deduco che il pittore o lo scultore non rivelano mai né la luce, né il colore, né la forma, ma soltanto la reazione che si è prodotta dalla collisione delle forze che agiscono dentro e fuori di me.
Per il pittore, così come per lo scultore, non esiste altra luce che la luce tramite cui si produce questa o quella modellatura di una cosa; la luce non sarebbe lo scopo principale, ma un semplice mezzo tecnico che serve a rivelare la cosa concepita nelle tenebre del proprio intimo. Se la luce, dunque, è un semplice mezzo tecnico, allora è evidente che essa gioca un ruolo uguale a quello di tutti gli altri mezzi presenti nei materiali, la luce si trova in tal modo sullo stesso piano di tutti i materiali e ha, di conseguenza, un valore uguale a quello di tutti gli altri, poiché anche tutti gli altri materiali rappresentano ugualmente gli stessi mezzi e la stessa qualità che la luce attraverso cui si rivela il dato, mostrano attraverso se stessi la faccia o la forma della cosa che giace in me, come risultato delle reazioni di due fenomeni esistenti fuori di me e dentro di me.
Si è sempre parlato della luce o del colore a proposito del compito principale di rivelare la luce, il colore e la forma in modo tale che il dato delle reazioni che si sono formate in me sia chiaro e, di conseguenza, conosciuto, cioè rivelato in tutta la sua reale pienezza.
Il dato così rivelato costituirà anche l'essenza del pittore e dello scultore.
D'altra parte, la coscienza pittorica non si accordava con questo problema e diceva che il compito della pittura e della scultura consiste nel rendere il dato esterno; io sono giunto a pensare che per i pittori non esistano oggetti che si trovano fuori di me, ma soltanto oggetti che si trovano dentro di me, e quest'ultima dichiarazione troverebbe una sua giustificazione se l'oggetto dato che si trova fuori di me non servisse da pretesto a ciò che è in me. Ma siccome esiste il pretesto, di cui amano tanto parlare pittori e scultori, la loro volontà si trova a dipendere dal pretesto ed è incapace, a causa di ciò, di manifestare ciò che giace in me [1]; cioè nel caso in cui il pretesto non si sia dissolto in me e non abbia composto alcun elemento per prendere una nuova forma. Il pretesto si è messo a dominare sul mio Io e sulla mia volontà e ha obbligato la mia volontà creativa a sottomettersi alle sue leggi. In questo caso il pretesto si manifesta sempre con una piccola reazione prodotta dalla mia emozione interiore, la quale, a sua volta, rappresenta anche un processo di reazione delle due forze che stanno all'interno e all'esterno. Io definisco simili momenti "piccola reazione", mentre definisco i fenomeni "grande reazione", quando la forza che sta all'esterno e la forma del fenomeno sono vinte o si dissolvono reciprocamente con un processo interiore e creano una nuova forma.
Qui ha luogo la lotta per una nuova forma di due forze differenti e ciò che noi chiamiamo momento di organizzazione non è altro che il processo di lotta di queste due forze, reciprocamente opposte l'una all'altra, che devono sottomettersi al dato sorto dentro di me.
L'uomo nel suo insieme rappresenta uno degli esseri della natura organizzati con una certa energia della proprietà di reazione, capace di separare in sé la forza di formazione e di sottomissione. Un tale essere incontra sulla propria strada questo o quell'ostacolo, un altro corpo organizzato in modo simile a lui, e il momento dell'incontro inizia con la separazione delle loro reciproche forze di reazione.
I due corpi che si scontrano qui non servono affatto da pretesto l'uno all'altro con il compito di riflettersi reciprocamente sullo schermo della propria attività, ma soltanto da pretesto per distruggere reciprocamente gli ostacoli e i superamenti che si sono verificati. Dal mio punto di vista si può affermare che c'e stato un superamento solo quando a partire dalle reazioni reciproche si è ottenuta una nuova forma che unisce in se stessa i due corpi.
In tal modo, tutto ciò che esiste in natura non è stato creato sulla base dei pretesti, ma solo sulla base delle cause dei superamenti reciproci delle reazioni verificatesi che creano un nuovo corpo od organismo che le leghi fra di loro.
L'incontro di due elementi naturali, l'uomo e il mare, ha suscitato una reazione che ha creato fra loro un nuovo organismo, la barca o la nave. Né la barca, né la nave significano di per sé la vittoria del mare sull'uomo o dell'uomo sul mare; è il semplice legame di un tutto organico.
A sua volta la barca, o la nave, non è il riflesso del pretesto del mare (questo non si riflette); non rammentano neppure l'uomo, ma soltanto un nuovo aspetto dell'organismo che lega me al mare e il mare a me.
Il dibattito pittorico è condotto in vista della ricerca dell'autenticità pittorica; che cosa deve rivelare il pittore o lo scultore, dov'e l'autenticità rivelabile? Rispondendo a questa domanda, nella valutazione precedente sul pretesto, si vede che l'autenticità della rivelazione non è nel dato che si trova fuori di me; e neppure in me, ma soltanto nel luogo in cui si crea una terza cosa durante il processo delle reazioni. La rivelazione di questa terza cosa sarà proprio l'autenticità.
La pittura, a mio avviso, ha compiuto un processo di rivelazione del dato, ha condotto un lavoro sulla conoscenza delle cose, ha effettuato una ricerca scientifica sui fenomeni e ha creato la loro immagine sulle loro realizzazioni. A partire dalle tele pittoriche e dalle rappresentazioni scultoree nello sviluppo delle arti figurative vedo una linea, seguendo la quale si compie lo sviluppo del processo pittorico o plastico in generale. Le rappresentazioni più remote sono da noi definite tentativi primitivi di rappresentare il dato, e solo perché il futuro ha rappresentato il dato in modo più autentico, più esatto, tutte le rappresentazioni remote sono state classificate come primitive.
Tutti i fenomeni del passato dell'uomo portano la definizione di "primitivo", così come, a sua volta, anche la nostra epoca porterà la stessa etichetta rispetto al futuro.
Tutto, di conseguenza, aspira non soltanto alla costruzione artistica, ma anche all'autenticità reale dello studio del dato, che in pittura giunge fino all'autenticità anatomica reale della rappresentazione, poi passa a un nuovo processo di costruzione sulla base di leggi o di elementi conosciuti in natura, alla rivelazione immediata di nuove forme.
II pittore, contrariamente a ogni affermazione secondo cui compito dell'Impressionismo sarebbe di perseguire solo l'impressione, difficilmente può essere d'accordo con un simile compito, sapendo che non si appresta affatto a rendere l'autenticità, ma soltanto l'impressione.[2]
Io ritengo che nessuna scienza o altra attività umana non si rassegnerà mai alle sole impressioni, ma perseguirà soltanto l'autenticità. Inoltre mi sembra che il pittore voglia rivelare solo il principio autentico, e non la sua impressione.
La seconda coscienza pittorica, in disaccordo con l'enunciato precedente circa l'oggetto, dice che ciò che bisogna rivelare è la luce, e che questo è il primo e principale compito della pittura; gli oggetti non sono che luoghi su cui vibra la luce, il lavoro dell'artista consiste nel rivelarla, poiché gli oggetti sono gia rivelati, rappresentano le forme di un altro ordine di coscienza.
Per la coscienza pittorica dei seguaci del plein-air o dei pointillistes la luce è diventata il problema del movimento pittorico. In questo caso la luce non era già più un pretesto, ma solo uno dei determinati enunciati per risolvere il problema della luce del dato pittorico. Qui non si tratta più del fatto che l'oscillazione luminosa è un pretesto per riprodurre sulla tela una nuova modificazione, qui si verifica la più forte tensione della rivelazione della luce autentica; non si tratta neanche d'impressione, la scienza del Pointillisme aspira a risolvere attraverso una via fisica il problema della luce vivente nella pittura.
L'ultimo evento pittorico del Pointillisme mi induce a cercare la sua giustificazione logica nelle profondità del movimento pittorico storico, in quanto scienza pittorica che si è prefissa lo scopo di conoscere i fenomeni della natura, dopo aver raggiunto la rivelazione attraverso la pittura della sua autenticità.
In questo modo l'essenza pittorica stava nella sola categoria dell'attività scientifica, aspirava in un modo o nell'altro a rivelare l'autentico, avendo ottenuto l'identità del fenomeno nello sviluppo che essa ne fa sulla tela sotto forma di pittura e nello spazio sotto forma di scultura.
In altre parole, essa aspirava allo sviluppo di libri scientifici allo stesso modo in cui le altre scienze aspirano, attraverso lo studio, a rivelare l'identità, l’autenticità di un fenomeno della natura.
La scienza pittorica pointilliste, avendo respinto lo studio dell'oggetto, in altri casi della forma, sembra dimostrare che questa parte è stata o studiata (cioè la sua autenticità anatomica è risolta) o condotta a un livello elevato; il problema irrisolto, invece, resta quello della luce: e solo dopo aver risolto il problema della luce che la scienza pittorica raggiungerà l'identità completa della rivelazione del fatto autentico nella natura.
Tutta la scienza pittorica ha seguito la via dello studio dei fenomeni della natura e della vita umana, presentandosi in una metà del proprio edificio come un lavoro letterario, effettuando tutte le possibili analisi di unione delle materie, mentre nell’altra metà essa produceva costruzioni a partire da esperienze e da leggi messe a punto in laboratorio.
Eseguiva il lavoro di qualsiasi altra scienza, in altri casi costruiva opere pratiche attraverso l'analisi di esperienze fisiche. Si mise a combinare in bisogni pratici le interdipendenze delle forze così conosciute, e dunque la semplice ricerca fine a se stessa dà in ultima analisi risultati indispensabili alla vita pratica.
Quest'ultimo punto mi dà il diritto di pensare che il nuovo problema dell'essenza pittorica, esprimendosi nelle nuove arti che hanno rifiutato la rivelazione eterna della natura sotto la forma che essa aveva in precedenza, sia passato a un nuovo ordine di espressione delle cose che si trovano all'interno e all'esterno, similmente alle scienze tecniche che riproducono sulla base dei risultati ottenuti, andando dalle esperienze di ricerca delle forze alle edificazioni di un nuovo aspetto delle forme.
In questo modo la coscienza pittorica è passata in un caso all'edificazione delle forme pratiche, cercando di dar loro una nuova forma. Un'altra parte dei pittori è passata al "senza-oggetto"; si sono formate due correnti, una figurativa, pratica, l'altra "senza-oggetto". Può essere che non si tratti di due correnti, ma di due visioni del mondo. La loro trattazione non è compito delle presenti note.
In quest'ultima tendenza dell'essenza pittorica assistiamo a un altro fenomeno: la luce non gioca assolutamente il ruolo che aveva presso i pointillistes e in generale presso tutti i pittori. Qui viene messo in primo piano il problema della rivelazione del colore, ma non la rivelazione del colore come elemento che giace al di fuori di qualsiasi prisma, cioè al di fuori del soggettivo, bensì solo come sua rivelazione attraverso un prisma, cioè attraverso un certo assemblaggio o una certa costruzione di corpi che daranno questa o quella rifrazione del colore oppure la sua intensità. Ogni prisma può presentare una somiglianza con l'uomo, nel quale la stessa luce o il colore può rifrangersi in questa o quella forza. Ne derivache, per studiare il colore, è necessario farlo passare attraverso prismi pittorici, quali possono essere solo le tendenze pittoriche. Così, il Cubismo e il Futurismo rappresentano quei prismi pittorici costruiti in cui abbiamo questo o quello stato di luce o di colore.
In realtà tutte Ie tendenze non sono altro che prismi in cui la tendenza del colore si è rifratta in modo diverse che in altri, e per il solo fatto che un prisma mostri uno stato diverso di un'unica materia, la presa di coscienza cambia e, di conseguenza, la costruzione dipende anche da questo o da quel fatto.
Per la conoscenza di questo o di quel fatto, di questa o quell'azione, è indispensabile volgersi al loro studio, esaminare tutto il prisma per sapere perché si produce questa o quell'illuminazione, questo o quello sbiadimento del fatto. E’ indiscutibile che ci troviamo davanti a nuovi fatti del movimento pittorico, la cui azione manda su tutte le furie la comunità che, invece di studiare il prisma, lo butta a terra e lo rompe. In questo modo non risolveremo mai nessuna questione.
II prisma futurista costruito da Marinetti [3] ha mostrato la realtà del mondo dei fenomeni in modo diverso da come era stato visto prima del suo prisma, e solo perché l'arcobaleno del mondo è stato mostrato da un nuovo lato della sua realtà. La comunità si è indignata come un tempo s'era indignata alla prova (al prisma costruito) che la Terra non solo non ha un'importanza primaria nell'universo in quanto pianeta principale, ma non se ne sta neanche come una regina, intorno a cui tutto corre, bensì è lei stessa a ruotare e a correre intorno agli altri Soli.
Marinetti ha costruito un prisma e attende il momento in cui gli indigeni inselvatichiti gli inveiranno contro. Un altro che ha costruito un prisma nel suo aspetto definitivo, il prisma del Cubismo, è Pablo Picasso; la sua sorte sarà identica.
Sulla base dei due primi prismi della scienza pittorica io sono riuscito a costruire un terzo prisma, che ho chiamato Suprematismo. Ho preso su di me anche il compito di chiarire progressivamente questi prismi e ciò costituisce il mio principale lavoro nella scienza pittorica.
(Ognuno di questi prismi ha una moltitudine di discipline che è possibile studiare solo realizzando un laboratorio fisico corrispondente, cosa che cercheremo di ottenere e a cui speriamo di arrivare in futuro).
Perché sia più chiaro dire ancora una volta che l'essenza pittorica non consiste nel riflesso del visibile e che tutto il visibile non è un pretesto nel senso in cui lo si intende. La pittura è uno dei mezzi di conoscenza del mondo dei fenomeni, e il fenomeno conosciuto in pittura o nella vita in generale si esprime precisamente in una certa costruzione di questo o quel fenomeno, nella forma.
Di conseguenza, la questione della rivelazione della luce non era la questione della sua semplice riproduzione sulla tela, cioè della sua ripetizione, poiché una simile soluzione della questione della luce non avrebbe per niente risolto il problema della luce. In questo caso si trattava della conoscenza di un fenomeno noto. In tal modo aveva origine l'esperienza pittorica scientifica del Pointillisme pittorico, il quale attraverso una costruzione puntiforme del colore mira a ottenere la sensazione fisica della luce.
In un altro caso i pittori vedevano la luce come un mezzo di rivelazione dell'oggetto, supponevano che la luce illuminasse l'autentico, che grazie alla luce ogni fenomeno diventasse per l'uomo netto, chiaro, e che dunque la luce avesse la particolare funzione di rendere chiaro l'oscuro e l'incomprensibile. Così, ad esempio, i poeti e in generale gli uomini di scienza invitano tutti "verso il sole", "saremo come il sole" [4], "andiamo verso la luce", e dovunque questo Sole diventa un emblema; in un modo o nell'altro vedono nella luce solare la chiarezza che può illuminare il nostro cammino cieco e oscuro. Il Sole può così illuminare i fenomeni nascosti nelle tenebre che la nostra coscienza apprenderà, e rivelare il lato reale del fenomeno o dell'oggetto.
In realtà io penso che se anche ogni uomo fosse il Sole, nulla comunque gli sarebbe chiaro, e che se arrivassimo al Sole, esso sarebbe ugualmente oscuro come la Terra. La sua luce per la mia coscienza rischiarerebbe tanto quanto la luce raccolta dal pittore nell'opera.
Tutta la caccia che il pittore da alla luce, alla luminosità dei raggi e all'illuminazione. ha dimostrato sempre una sola cosa, che non esiste una luce con determinate funzioni d'illuminare la verità e che rivelare la sua luminosità a questo scopo è ugualmente impossibile. L'esperienza pittorica mostra soltanto i due diversi rapporti materiali del chiaro e dello scuro. differenze di una sola e unica materia. In questo modo, nell'esperienza pittorica i raggi di luce hanno perso la loro forza di illuminare, noi non vediamo già più sulla superficie il raggio luminoso, ma solo la fattura materiale [5]. Quella cosa che è stata definita luce, è diventata altrettanto impenetrabile che qualsiasi altro materiale.
Il tentativo di rivelare la luce, la sua realtà fisica, ha indotto i pointillistes a costruire sulla tela dei punti colorati, con lo scopo di dare non soltanto un'impressione di verità, ma unicamente la verità stessa. Ogni uomo vuole prima di tutto conoscere la verità, nessuna impressione del vero lo soddisfa, e per di più vuole conoscere anche la causa di tutte le cause, e a questo scopo costruisce tutta una cultura di vari grimaldelli per aprire con il loro aiuto la serratura della natura silenziosa, con cui essa ha rinchiuso tutto il proprio misterioso segreto e ne ha nascosta la chiave, la quale difficilmente qualcuno un giorno arriverà a trovare.
Non si tratta, dunque, di impressioni, ma della casa della vita, dell’autenticità.
Solo i fatti autentici possono soddisfare l'uomo. La ricerca della luce è, probabilmente, uno degli sforzi principali di ogni uomo; egli sa che solo con la costruzione del lampione che la illumini sarà chiara la via autentica che porta alla verita.
II Pointillisme è stato l'ultimo tentativo nella scienza pittorica che abbia cercato di rivelare la luce; furono fra gli ultimi a credere nel Sole, a credere nella sua forza e nella sua luce. Che solo lui potesse rivelare con i suoi raggi la verità delle cose [6]. Sembra che i pointillistes abbiano tentato di risolvere il problema della luce, di risolvere la questione cui non poterono arrivare i loro precursori pittorici: il problema della luce in pittura e in scultura era uno dei mezzi principali, poiché è soltanto attraverso di essa che si è rivelata la forma.
I pointillistes hanno preso questo compito su di sé, ignorando l'oggetto, in quanto semplice luogo in cui si manifesta la luce. Avendo ottenuto nei propri lavori determinati risultati riguardo al problema pittorico della luce, il pittore poteva rivelare la forma già nell'ordine e nella realtà in cui essa si manifesta in natura.
Con i pointillistes sembra concludersi il realismo pittorico. La pittura ha permesso il lavoro analitico e sintetico di rivelazione delle cose che si trovano al di fuori del pittore. Grazie a loro si è potuto portare a termine un lavoro scientificamente determinate e chiudere tutto un periodo in cui il dato pittorico aspirava all'espressione pittorica autentica e naturale.
Dopo di loro inizia una nuova attività pittorica volta a una nuova analisi e a una nuova sintesi della pittura pura, cioè della fabbricazione, si potrebbe dire, di materiale pittorico in quanto tale: quando la si sottrae agli attacchi della luce, si verifica la costruzione di un nuovo corpo pittorico, dal quale dovranno costruirsi le cose nello spazio della stessa luce. Si trattava soltanto di lavori preparatori ai problemi pittorici del Cubismo. In questo campo è il pittore-scienzato Paul Cezanne a occupare un posto di rilievo. Ma, nonostante tutto, la questione della luce non viene meno.[7]
Al loro posto apparvero nuovi operatori della pittura, i cubisti, i quali pure si dedicarono a risolvere il problema della luce. Anch'essi si trovarono di fronte alla stessa questione: che cosa bisogna considerare luce e che cosa si può considerare scuro. Nella forma è introdotto uno spostamento [8], il concetto di luce è di nuovo messo in discussione e si afferma che la luce, attraverso cui è possibile rivelare la cosa (ciò che sognavano di raggiungere i pointillistes), non è nello spettro solare, ma è soltanto uno dei mezzi. Le cose rivelate e illuminate non significa ancora che siano manifeste, poiché è manifesto solo ciò che è comprensibile all'osservatore.
In questo modo si introduce uno spostamento nel concetto che intende per luce ciò che è comprensibile, e per oscuro ciò che è incomprensibile. Ne consegue che una tela pittorica dipinta in toni neri e marroni può essere viva, chiara per chi l'ha compresa, e al contrario, una tela dipinta di bianco, di chiaro, sarà scura per l'osservatore che non l'abbia compresa, non ne abbia raggiunto la conoscenza.
In tal modo, la coscienza del cubista per bianco intende non il materiale, ma soltanto il momento della presa di coscienza, per nero ciò che non è compreso. Il bianco, il nero, il chiaro o la luce hanno cessato di esistere realmente nel senso in cui venivano intesi in precedenza.
La continuità delle esperienze del passato in questo caso è possibile dal momento che tutto ciò che era reale nella coscienza oggi è scomparso: il bianco, il nero, tutto ciò che esisteva ieri oggi non esiste più. Si sono create nuove circostanze, in virtù delle quali si è modificata la realtà. Nelle circostanze attuali non si può più applicare la realtà del passato. Non possiamo percepire l'arcobaleno in quella dimensione che era nella coscienza degli uomini del passato. Per noi non si tratta più un di un fatto isolato, prodotto da una forza sovrannaturale, ma soltanto della rifrazione fisica dei raggi o della luce attraverso le gocce d'acqua.
Non si può ammettere neppure la continuità storica perché ogni fenomeno ha le proprie circostanze e di conseguenza ha anche un nuovo rapporto-forma. L'arte costruisce la scienza, il sapere.
Sembra che il concetto di luce dovrebbe limitarsi a restare sulla posizione della propria realtà, ma avviene che la sua realtà cambi. In un caso la luce è considerata un qualcosa tramite cui  è possibile rivelare l'autenticità, in un altro caso un mezzo simile a tutti gli altri materiali tramite i quali si rivela il dato.
In un caso della coscienza pittorica si poneva il problema della rivelazione della luce come mezzo particolare per la rivelazione del dato. In un altro caso, nella recente rivelazione, il dato pittorico si basa sulla rivelazione del colore, si elabora la sua intensità.
A che scopo si elabora dunque l'intensità cromatica? Sempre per lo stesso scopo di rivelazione del dato colorato. Com'è dunque questo dato? E’ possibile preparare i mezzi prima della comprensione del dato? Ogni dato esige, infatti, mezzi appropriati, di conseguenza il dato è gia qualcosa attraverso cui passa la rifrazione dei fenomeni e la loro scomposizione negli elementi che saranno anche mezzi di costruzione del dato, cioè comincerà la realizzazione della visione del mondo.[9]
In altre parole, il dato è il risultato delle reazioni delle forze che si trovano all'interno e all'esterno nella loro azione reciproca; si producono varie rifrazioni e costituzioni di forme in quel luogo che noi definiamo presa di coscienza, in esso inizia un processo di costruzione delle forze o degli elementi, dei materiali che si sono rivelati nel processo di reazione. In questo modo nella coscienza si verifica la realizzazione del piano. Abbiamo un piano reale pronto, una costituzione di forme che aspiriamo a rivelare all'esterno come qualcosa di separato, un anello organico che lega la mia interiorità con l'esterno.
Di conseguenza, per rivelare quest'ultima, bisogna lavorare sui dati emersi grazie ai materiali nel processo di reazione. Io considero questo lavoro positivo nella sua essenza. E’ solo da qui che sorgono veramente le discipline.
Sembrerebbe che il pittore prenda coscienza del proprio lavoro, che possa dare spiegazioni, ma il suo lavoro, malgrado tutto, è simile a ogni fenomeno della natura che cerchiamo di conoscere e di argomentare.[10]
Molti ritengono che il Suprematismo abbia lo scopo di rivelare esclusivamente il  colore e che i tre quadrati costruiti (rosso, nero e bianco) rappresentino anche la rivelazione del colore, oltre che la soluzione del problema pittorico nella sua pura estensione bidimensionale in quanto superficie piana. Dal mio punto di vista il Suprematismo come superficie piana non esiste, il quadrato è solo una delle facce del prisma suprematista attraverso cui il mondo dei fenomeni si rifrange in modo diverso rispetto al Cubismo, al Futurismo, e la caccia alla luce o al colore, a una forma di costruzione, è completamente negata dalla sua coscienza, fino al rifiuto totale di rivelare figurativamente le cose. Stabilendo il "senza-oggetto", la coscienza aspira per suo tramite all'assoluto, nel quale si rifiuta di cogliere alcunché sia attraverso una qualche tensione del pensiero umano, della ragione, sia attraverso la costruzione di schermi solari sui quali si sarebbe definitivamente chiarito qualcosa dei fenomeni del mondo. Non esiste nessuna unità scura che sia visibile e netta su un disco di luce viva, né un'unità chiara su un disco scuro.
Contemporaneamente allo sviluppo del movimento pittorico inizia a svilupparsi anche il pensiero pittorico, si avvia un processo di pensiero che aspira a rivelare e a giustificare oppure a rifiutare lo scopo pittorico espresso dal pittore. Comincia così a nascere la filosofia della creazione pittorica, la quale perviene al "senza-oggetto" o all'assoluto.
La pittura si è posta uno scopo uguale, dal mio punto di vista, a tutte le altre scienze dell'uomo. Questo scopo si esprime nella parola "rivelare", o manifestare. In un caso, nel Pointillisme, si è scoperto che la luce non è autenticità, ma soltanto il risultato delle autenticità delle oscillazioni cromatiche. In questo modo sembrerebbe essere svelata la verità che produce la luce. Ma e possibile che il colore non sia altro che il risultato di verità poste al di fuori dal sapere. Così, davanti a noi sorge tutta una serie di X che speriamo di conoscere nel futuro. Ma il futuro è elastico, l'oggi in rapporto al passato rappresenta precisamente quel futuro tanto atteso su cui i nostri predecessori avevano riposto le speranze che il futuro avrebbe rivelato la luce reale, ma le loro speranze sono rimaste vane, oggi si è appreso soltanto che la luce e il risultato della verità, ma non la verità.
Così davanti a noi c'è una nuova verità, non più della luce, ma del colore, la quale, a sua volta, nel futuro non sarà la verità ma il risultato, come ho detto, di nuove X.
Malgrado tutto, la ricerca della luce resta lo scopo principale, la luce solare come mezzo di illuminazione non è comunque sufficiente per l'illuminazione delle catacombe scavate dall'uomo nella ricerca delle causalità e della rivelazione delle loro autenticità.
Era indispensabile creare una nuova luce tecnica per queste esigenze, e in questo ambito si sono verificati dei perfezionamenti per accendere il fuoco dalla sverza alle lampade elettriche. L'invenzione della lampada elettrica è stata anche la lampada luminosa con cui si cerca di rivelare i fenomeni, laddove i raggi solari non possono più bastare al lavoro dell'uomo. Ma anche i raggi elettrici devono, a loro volta, servirsi di un apparecchio a raggi X, per poter illuminare, rendere visibile il fenomeno, anche la nostra coscienza oggi può conoscere completamente i fenomeni del mondo.
Così il ruolo della luce consiste nell'illuminazione di quegli oggetti senza cui non può avvenire la presa di coscienza o la conoscenza. Ma accanto alla realizzazione della luce tecnica appare una nuova luce. E’ la luce del sapere; in essa ci sarà senza dubbio una differenza essenziale rispetto alla luce che si apprestavano a rivelare i pittori, i quali illuminavano con la luce i fenomeni affinché fossero chiari, comprensibili, reali per l'osservatore.
Per la tecnica la luce era, in genere, soltanto un mezzo ausiliare, la luce principale, invece, era il sapere. La luce del sapere ormai non produceva più né ombra, né chiarore, ma era lo stesso luminosa, i suoi raggi penetrano ovunque e hanno conoscenza anche di quei fenomeni che si nascondono a tutti gli altri raggi.
In ciò io vedo un'analogia anche col movimento pittorico, analogia che hanno formulato i cubisti: non è sufficiente vedere, ma bisogna anche sapere; di conseguenza la coscienza dei cubisti nega già il carattere sufficiente della proposizione secondo cui è reale tutto ciò che è visibile all’occhio; già il fatto stesso della costruzione pittorica cubista dimostra che esso non è affatto reale, benché visibile all'occhio e illuminato da luce sia elettrica che solare. Di conseguenza, si può averne conoscenza attraverso un'altra illuminazione, proprio con la sua messa in luce tramite i raggi del pensiero, dirigendoli verso la sorgente principale del sapere.
E se effettivamente il sapere è l'originale cui è stato ordinato di conoscere tutto, allora la realtà di ogni cosa dipende soltanto da questa luce. Se tutto nella natura fosse comprensibile, reale, non avremmo cultura; ed è solo perché tutta la natura visibile, illuminata dalla luce malgrado tutto, per noi non è sufficientemente reale e al fine di renderla comunque comprensibile, cioè reale,  che l'uomo ricorre alla creazione della nuova luce del sapere e, naturalmente, tutte le apparecchiature fisiche create e i processi di pensiero delle ipotesi filosofiche, così come la verifica scientifica di queste ipotesi, costituiscono proprio ciò che definiamo segni della cultura e del sapere. In questo modo, per comprendere il reale è necessario leggere e studiare tutto ciò che è stato creato dalla tenacia del pensiero e dell'intelletto umani. Per conoscere la realtà dei fenomeni del mondo vegetale bisogna studiare tutta l'anatomia di una data scienza, tanto che il fiore visibile alla luce dei raggi solari non sarà più reale, la sua realtà si troverà nell'istituto di ricerca botanica: è solo là che avviene l'approfondimento delle sue molteplici facce reali, là dove non è più la luce solare a illuminarlo, ma la luce del sapere.
Cosi la luce del sapere è presente in quasi tutte le manifestazioni della vita umana, sembra giocare un ruolo definitivo e dominare tutta la luce. La luce del sapere è la migliore lampada in grado di dare una forza assoluta di luminosità; solo con questa lampada l'uomo annienterà la tenebra del mondo, la disperderà in quanto nemico unico che ha nascosto tutti i valori autentici, lasciando all'uomo soltanto impressioni, supposizioni, lasciandogli non il mondo come autenticità, ma il mondo come rappresentazione.
Noi possediamo due forze, una è la tenebra del mondo, l'altra è il sapere. Sono nemici irriducibili, che combattono non per la vita, ma per la morte. Il sapere perseguita la tenebra che porta via con sé le verità e le cause autentiche che noi abbiamo speranza di vincere in futuro; non si sa quale sia la speranza della tenebra. Da qui derivano, direi, due strade filosofiche, una ottimista, l'altra scettica, una si regge sulla gioia della vittoria nel futuro, l'altra ha un atteggiamento scettico verso questo futuro.
Cosi, per esempio, nelle nuove correnti, nello stesso Suprematismo, lo scetticismo esiste sia nei confronti del futuro, sia nei confronti della scienza e del sapere, e di quegli scienziati che si sono proposti di costruire a ogni costo la chiave con cui aprire la serratura della natura, carpirne tutti i tesori dai suoi depositi misteriosi. Per questo, all'invenzione di una simile chiave scientifica lavorano la scienza e gli inventori.
Ma a me, personalmente, che appartengo in ogni caso allo scetticismo, una simile impresa sembra strana, poiché, innanzi tutto, non si sa se la natura abbia una serratura e se esistano dei tesori. Tutta la cultura mi appare come un fabbro che si è messo a fare una chiave per una serratura che non conosce. I fatti dell'enorme galleria di apparecchiature scientifiche rappresentano solo il tentativo di costruire dei grimaldelli o delle chiavi, e il fatto che siano numerosi dimostra che la serratura è sconosciuta. Se la serratura fosse nota, il fabbro costruirebbe una sola chiave.
Cosi il Suprematismo in quanto "senza-oggetto" ha in ogni caso un atteggiamento scettico verso il lavoro di questo fabbro che rappresenta la luce nella lampada del sapere, avendo la speranza di illuminare in futuro le tenebre universali e di trovare i tesori nascosti per arricchirsi.
L'aspirazione alla luce e il bisogno di inventare una lampada che illumini mi provano gia che l'uomo non rappresenta quella perfezione che possiede la natura. Essa non ha e non inventa lampade che illuminino lo spazio siderale. I soli hanno lo stesso significato delle masse che non brillano.
E’ possibile che esistano attrazioni materiali reciproche le quali, attraverso una reazione reciproca, danno risultati ciechi, al di fuori del sapere e delle leggi.
E’ possibile che esista l'attrazione di tutta una serie di "qualcosa" che si chiama o è stata battezzata col nome di cose materiali, le quali, a loro volta, rappresentano i risultati delle reazioni senza fine di questi "qualcosa".
Così si verifica l'eterno processo di agglomerabilità e di disintegrabilità di un aspetto o di una forma in un nuovo aspetto della sostanza assoluta immutabile.
Se ci sia in questo processo della natura un qualche bisogno cosciente, se ci sia un lavoro d'azione scientemente ponderato, non si sa, ma io suppongo di no.
E’ possibile che gli uomini pensino che la creazione del Sole sia stata prevista coscientemente e che di conseguenza esso sia stato costruito con lo scopo ponderato di illuminare la Terra, di riscaldarla affinché gli uomini potessero coltivare dei frutti, essere riscaldati e avere il giorno sulla Terra. Anche la luna è stata creata come luce notturna per coloro che non hanno il tempo di arrivare a casa prima del calar del sole. Ragionando in questo modo e possibile vedere tutto il senso logico del dato della ragione del mondo che ha costruito l'universo per l'uomo.
Ma purtroppo le cose vanno diversamente, un simile ragionamento sarà soltanto la dimensione di una circostanza personale. E’ possibile che il nostro ragionamento e la nostra esistenza siano uno dei processi delle reazioni reciproche e che tutti i risultati e le deduzioni che ne derivano appartengano alla serie dei processi senza fine nello spazio del mondo, siano semplici attrazioni cieche prive nella propria azione non solo di movimenti e di conoscenze conseguenti che si succedono logicamente, ma anche di azioni imprevedibili o di un risultato della loro reciproca unione. E’ possibile anche che l'apparizione del sole o la temperatura del fuoco derivi dalla violazione della quiete di certi "qualcosa" da parte di altri. Qui è possibile supporre un atto violento che l'uomo ha considerato un momento catastrofico, ma visto che in natura è ammessa l'esistenza assoluta di una sostanza o di un'energia che non scomparirà mai, allora questa o quella reazione reciproca non sarà catastrofica, poiché non esiste la temperatura che avrebbe bruciato o gelato questo "qualcosa" o questa sostanza.
Il mio ultimo ragionamento mi condurrebbe a molte domande e risposte e il pensiero che ho formulato ora si riduce a quello stesso ragionamento sull'esistenza della luce. Io voglio soltanto indicare un fatto: se sia possibile giustificare il lavoro d'invenzione di una lampada o di una chiave che svelino l'autenticità delle cause e delle verità. E indicare, in secondo luogo, qual è il ruolo che in tutti i fenomeni gioca la luce in generale e la luce del sapere in particolare. In questo modo sono arrivato ad alcune soluzioni pittoriche del problema della luce, del plein-air o del Pointillisme e del Cubismo, e anche dell’arte tecnica pratica, ho indicato tre o quattro prismi nei quali la luce prendeva nuove forme e significati reali. Ho menzionato anche il Suprematismo, attraverso il cui prisma le realtà esistenti della luce in generale o della luce del sapere non esistono affatto. Il suo prisma non rifrange né il mondo dei fenomeni che si trova in me, né quello che si trova all'esterno, attraverso di esso non si rifrangono né i fenomeni spirituali, né quelli pratici. Dalla sua filosofia assoluta deriva che non ci sono cose né in me, né fuori di me, che il mondo in quanto rappresentazione non rappresenta ancora le cose, e che neppure la mia volontà le può creare, poiché non c'è ciò che potrebbe essere conosciuto e a partire dal quale si potrebbero costruire degli apparati di conoscenza.

Lezione 2. La scienza pittorica lavorava sulla rivelazione attraverso la luce in un caso della forma, in un altro caso della luce, in un terzo del colore, in un quarto della costruzione. A partire dal precedente ragionamento sulla luce è possibile tracciare un grafico che mostrerà come il movimento della luce, allo stesso modo di quello del colore, avvenga nei centri delle culture umane costruite, come ogni cultura non sia altro che il prisma in cui si rifrange l'autenticità conoscibile. Ma il guaio è che ogni apparato di cultura costruito rifrange sempre la stessa sostanza in tutti i colori dell'arcobaleno senza rivelarsi nella propria sostanza finale.
Esiste una linea di cultura. Su questa linea si forma tutta una serie di punti nei quali si produce l'accumulazione di energia diretta verso l'uno o l'altro aspetto delle circostanze e delle necessità che sorgono. Da qui ci si chiede se effettivamente la creazione della forma o la costruzione delle cose nella presente circostanza sia una necessità autentica inerente all'uomo o se invece tutte le cose create siano una semplice casualità, il risultato delle circostanze in cui l'uomo è venuto a trovarsi; infatti tutte le cose create d'importanza pratica non provano affatto di essere una mia necessità, di appartenere al mio essere.
In questo modo tutta la cultura delle costruzioni sulla linea del movimento umano può rappresentare soltanto una serie di risultati del movimento e di strumenti abbandonati in nome di quella cosa che apparterrebbe all'essere umano. La lotta per la rivelazione di tale autenticità continua in ogni caso. La lotta, qui, si esprime nello sforzo di avvicinamento alla mia coscienza dei fenomeni, cioè di mettere i dati più vicino all'analisi della presa di coscienza. Tutto il tentativo è stato fatto su questo avvicinamento, su questa rivelazione, e nel lavoro pittorico, dopo aver rivelato dapprima la forma sul contrasto della luce, in seguito nel colore, quindi di nuovo nella luce, più avanti ancora si è arrivati alla rivelazione soltanto degli elementi, della sola luce, del solo colore, cosa per cui sono anche state create particolari discipline delle singole rivelazioni. L'epoca contemporanea sembra aver qui messo in dubbio il fatto che la luce o il colore non siano manifesti in natura, che il loro essere non sia sufficientemente sviluppato e che, per di più, sia necessario coltivarli.
In numerosi casi la rivelazione del colore si è espressa nell'intensità e si supponeva che proprio in ciò consistesse la soluzione di tutto il problema delle discipline della scienza pittorica, nel colore o nella luce. Bisogna dedurne che tale rivelazione non è stata compresa in questo senso: che cosa è rivelato veramente? Il colore, oppure la mia coscienza riguardo al colore, oppure il colore riguardo la mia coscienza?
Infatti, bisogna supporre che il colore nella sua essenza sia invariabile e che soltanto la circostanza formatasi col tempo nella mia coscienza cambi l'intensità del colore invariabile dal mio punto di vista. Di conseguenza, non sembra possibile coltivare questa o quella intensità.
Un'automobile nell'allontanarsi dalla mia coscienza non perde affatto la propria forza, e invariabile, non fa che restare lontana dalla mia coscienza o dalla luce del sapere. Allontanandosi sempre più, i raggi della luce del sapere, non possono più raggiungere la sua realtà, e non possono neppure garantire che, uscita dai raggi della sua luce, l'automobile esista.
Di conseguenza, la sua realtà nella mia coscienza è già suddivisa in tutta una serie di circostanze, dalle quali dipende questo o quello stato della cosa rivelata. Rivelare significa avvicinare o allontanare da me l'opera, nel tempo, oppure allontanarla dalla mia coscienza. L'ultimo processo sarà un processo di semplice spostamento delle cose da una circostanza all’altra e niente più. Tutti i tentativi di coltivare la luce, il colore, di renderli perfetti sono errati nel termine "rivelare". Ciò che noi vogliamo rivelare potrebbe anche trovarsi al di fuori di tutte le circostanze e la sua essenza, cosi come la cosa stessa, esserci sconosciuta e non poter essere rivelata, poiché tutti i prismi d'importanza cognitiva costruiti sono ancora una volta costruiti a partire dall'osservazione, sono sempre costruiti in modo che è impossibile garantire che tutto ciò che si rifrange in essi sia l'essenza autentica, che sia stato afferrato l'assoluto.
E’ possibile che ciò che vogliono rivelare sia interamente al di fuori dei movimenti e che sia in movimento solo la mia coscienza, ma anch'essa è in movimento, lo ripeto di nuovo, non nel mondo autentico, ma soltanto nella rappresentazione.
Quale sia l'utilità per l'uomo di una tale ginnastica, mi è difficile stabilirlo. Gli uni dicono di riceverne conoscenze, altri di aumentare la ragione, i terzi di sviluppare la vista [11], i quarti i sentimenti: tutto questo insieme deve formare un organismo o un apparato pratico. Il suo carattere pratico si esprimerà nella rivelazione non dell'impressione, non del mondo come rappresentazione, ma dell'autenticità, della realtà palpabile.
E’ possibile che l'evoluzione di questo apparato, che si chiama uomo, nell'abisso sconosciuto dei tempi pre-istorici del proprio sviluppo non conoscesse il mondo e non vedesse i suoi fenomeni, ma sentisse solo il contatto di queste o quelle manifestazioni, e che tutte le funzioni facenti parte dell'apparato sensibile siano il risultato di successive evoluzioni con una determinata inclinazione del fenomeno psichico che aspira a conoscere o a rivelare l'autentico dei fenomeni che lo concernono. I contatti, diciamo, di particelle materiali hanno eccitato il dato e a partire da quest'eccitazione si è prodotta questa o quell’azione, senza predeterminare affatto se i movimenti dati fossero autentici. E’ anche possibile che a causa di tali contatti reciproci si produca questa o quella azione come processo di rappresentazione psichica di tutti i fenomeni nella loro determinazione da parte dei fatti autentici. Il movimento di particelle di luce può aver generato nel corpo luoghi che hanno iniziato a percepire o ad accumulare la luce, formando il bulbo oculare.
Ma devo tornare al tema della luce e del colore, tornare alla domanda: quando viene il momento reale della luce? La luce che attraversa le gocce di pioggia forma la propria reale divisione nei colori che vanno a costituire una nuova autenticità reale. La  goccia d'acqua è diventata una nuova circostanza per la luce. Supponiamo che questa circostanza sia stata costruita in modo che il mondo intero sia colorato di un solo colore o dei colori dell'arcobaleno; di conseguenza, da qualche parte sarà stata posta una circostanza tale, al di là della quale sarà rimasta la realtà della luce.
Noi non potremmo neppure rivelarla, il colore diverrebbe autenticità. Ma è possibile che anche il colore sia soltanto uno dei risultati di quei prismi che ci mostrano la realtà effettiva del colore in sette raggi; altre circostanze possono mostrarne migliaia , e così via. Essendo per professione un semplice pittore, avevo davanti a me un solo libro: la natura, che leggevo e osservavo nel limite delle mie possibilità. Così la natura era per me il laboratorio di fisica in cui avevano origine vari fenomeni. L'arcobaleno come risultato della rifrazione dei raggi attraverso il prisma delle gocce d'acqua ha attirato la mia attenzione sul fatto che esso rappresenta una delle numerose circostanze ed è per questo che ogni fiore viene a essere anche una delle circostanze nelle quali un'unica sostanza si è rifratta e si è colorata di un certo colore e non di un altro, ha ricevuto dalla composizione di un fenomeno una delle sue parti costitutive.
Ammettiamo, tra l'altro, che un tempo gli uomini non conoscessero l'origine dell'arcobaleno; per loro doveva essere un fatto particolare, situato al di fuori dei fenomeni fisici, un fatto della forza sovrannaturale. dell'azione.
Così, essendo realtà, ha diretto la coscienza degli uomini su una falsa strada; ma ora noi siamo riusciti a scoprire la causa autentica e a chiarire che è un fenomeno di rifrazione fisica di un unico raggio scisso dal prisma; in questo modo la realtà del colore sotto un certo aspetto e una, sotto un altro aspetto è un'altra; resta da risolvere una questione: dove sia la realtà o l'autenticità, della luce nel colore o del colore nella luce?
Ritorno ora alla questione che avevo tralasciato circa il grafico o la linea su cui  continua a procedere lo sviluppo delle energie umane e non umane nella creazione dei centri di cultura mostrando che l'uomo rappresenta uno degli interessanti prismi viventi nel mondo, impegnati in un lavoro eterno di costruzione della  propria coscienza, creando a partire da questa il prisma che avrà rifratto i fenomeni nella loro autenticità.
Nella linea che si va sviluppando ho notato tutta una serie di luoghi in cui essa accumula energia. L'accumulazione di energia deve sicuramente aver ricevuto una forma; la forma strutturale di un dato centro sarà proprio il segno dell'energia del lavoro che si è ammassato in questa o quella costruzione. Così ogni centro di costruzione umana non sarà altro che il prisma della presa di coscienza data, del sapere, della maestria, dell'arte, della scienza, ecc.
Sulla linea di sviluppo prenderò in considerazione il primo luogo, quello in cui si sono ammassate più o meno alcune decine di persone. E’ il borgo, il villaggio, la fattoria. Questo luogo rappresenta un ordinario campo o un'aiuola, diciamo, della cultura colorata. Sullo spettro della nostra indagine scopriamo una moltitudine di colori vivi, e se verificheremo lo spettro di un altro luogo, d'un campo in fiore, noteremo allora una grande identità fra i due spettri colorati. Le persone sul campo colorato rappresentano gli stessi punti colorati che i fiori nel campo. Il prisma della rifrazione o della percezione del colore è uguale ai fiori.
Dopo il villaggio o il borgo esiste un altro centro chiamato capoluogo di distretto. A paragonare lo spettro del capoluogo di distretto con il precedente, già sulla sua superficie noteremo l’apparizione di bande tonali che inclinano dalla parte del bianco e nero. La percentuale di raggio nero o scuro e di raggio bianco inizia ad assorbire la colorazione. Dopo il capoluogo di distretto viene il capoluogo di provincia e quindi la capitale, cioè il luogo in cui la tensione di energia raggiunge il punto massimo dell'epoca umana contemporanea. Questo centro ha lo spettro di massimo assorbimento dei raggi colorati, la sua colorazione passa quasi totalmente al nero e al bianco, lasciando tra l'uno e l'altro intervalli di bande tonali di colore bruno, marrone e grigio.
Da qui possiamo ricavare una legge che stabilisca la colorazione legittima delle cose, possiamo, in base alla legge di colorazione di questa o di quella cosa, stabilire anche la sua epoca, cioè a quale'tcentro appartenga nel tempo colorato. Fino a oggi non e stata trovata una legge di colorazione delle cose, delle case e neppure della tela, essa esiste di per sé, ma non è stata trasmessa alla coscienza.
Nel chiarire per me stesso la causa del presente fenomeno, ed essendo pittore, mi sono soffermato su questo lavoro di ricerca, il quale deve darmi le dimensioni che mi concedano il diritto legittimo di colorare anche la mia tela pittorica.
E’ per me ormai impossibile lasciarmi guidare solo dall'estetismo del mio gusto o basare la mia colorazione sulla parola "piace".
Nella misura in cui sono una delle particelle del movimento umano generale, devo tenermi nel suo movimento dialettico e muovermi nello spazio attraverso situazioni sempre nuove, in virtù delle quali si producono queste o quelle diversità fra un centro e l'altro.

Una delle prime cause di ricerca, probabilmente quella del colore specifico che io ho stabilito, e che tutte le colorazioni della luminosità colorata nei primi centri della linea o del grafico di sviluppo erano le percezioni della luce solare, e di conseguenza anche i colori, che erano ugualmente legati a tutti i fenomeni delle rifrazioni fisiche.
Così, la luce solare era la fonte principale delle sostanze che colorano. Allontanandosi sempre più, l’uomo si allontana anche dal sole. La città, la capitale, non è già più colorata dai colori dell'arcobaleno, ma soltanto dal tono, la coscienza si è molto allontanata dal colore. E’ naturale, perché la luce si rifrange attraverso il prisma in uno stato gia spento.
In secondo luogo, nella capitale agisce, come ho gia detto nella prima parte della mia lezione, la luce di un altro ordine, l’ordine del sapere, sapere che si trova al di fuori delle varietà dei raggi colorati. E neppure quest’ultimo ordine non può non avere influenza sulla colorazione della forma rivelata dalla luce tecnica del sapere. Essi innanzi tutto stanno esclusivamente in un ordine di costruzione e la colorazione cromatica delle cose si limita integralmente alla solidità o alla protezione delle cose contro l’influenza di sostanze distruttrici. La pittura dei tetti delle case non si compie affatto dal punto di vista del gusto, ma soltanto da quello della solidità del materiale, ecc.
Aggiungerò che la carpitale elabora un nuovo spettro di colorazione che non è privo di luminosità. Chiamerei questo spettro particolare "spettro metallico colorato". La tecnica esprime in se stessa un nuovo prisma, attraverso il quale si rifrange il raggio: attraverso il metallo, per prima cosa; in secondo luogo, il raggio stesso proviene dalle traslazioni metalliche in un particolare conduttore di luce metallico.
Qui io esprimo i primi pensieri che, si può dire, mi servono da pietre miliari per il lavoro che mi sono prefisso anche se esigono ancora molte argomentazioni. Se le circostanze mi permetteranno di continuare il mio lavoro, essi saranno allora portati alla chiarezza di ciò che voglio esprimere, ma [illeggibile]
Lavorando sul grafico cromatico e tentando attraverso l'esperienza e l'osservazione del prisma umano vivente di stabilire una legge, ho notato che la linea di sviluppo del colore attraverso i centri di cultura possiede un proprio tempo e, di conseguenza, anche un proprio grado di coscienza o un proprio grado di cultura.
Ciò fa sì che vi sorga questa o quella forma della cosa e la sua colorazione. In questo modo ogni cosa, come il rapporto nei confronti del colore, manifesta, dal mio punto di vista, il livello di cultura della presa di coscienza.
Quindi, secondo il grafico della percezione cromatica, è possibile stabilire il grado di cultura della società e di qualsiasi individuo preso separatamente. La produzione di materie colorate, variopinte, vivaci, in città si sviluppa esclusivamente a favore dei villaggi. Per il consumo dei cittadini esiste uno spettro di colorazione particolare.
Tutti gli avvenimenti solenni sono colorati in due toni, nero e bianco. E’ possibile, s'intende, che ci siano delle tradizioni puramente nazionali o, comunque, di una parte del popolo. Ma io resto convinto che nessun avvenimento solenne, in quanto fatto che esce dall'ordine della vita consueta, in città non sarà mai colorato di colori vivaci e vistosi.
Ma se qualche nazione riveste di colore tutti i propri avvenimenti, ciò significa che il livello della sua cultura si trova in un determinate punto del tempo, che è arretrata rispetto a quella giunta al nero e al bianco.
Cosi, la rivelazione del colore è legata a un grande lavoro di ricerca che deve seguire la sola linea del movimento generale del prisma umano vivente, ed è soltanto dallo studio di questo stesso prisma, dalla definizione nel tempo della coscienza in movimento, che possiamo stabilire e decidere che cosa rivelare. E impossibile rivelare il colore senza analizzare la linea generale dello sviluppo del colore.
Possiamo rivelare la grande intensità del colore, ma la sua intensità non sarà utile per il prisma generale del tempo dato. Quindi, rivelare il colore significa non rivelare nulla, oppure rivelare tutta l'essenza del movimento della cultura.
Immaginiamo un fenomeno che l'uomo vede e di cui rivela il colore su una tavola o su una tela allestite appositamente a tale scopo. Che cosa deve fare se ha davanti a sé il compito specifico di rivelare un solo colore? Qui sorge la domanda se sia possibile rivelare il colore blu o rosso senza l’aiuto di qualche mezzo. In che modo possiamo dire o dimostrare di aver rivelato un rosso più rosso di tutti gli altri? Nelle rivelazioni chimiche questo si ottiene con l'allontanamento o l'aggiunta in una data sostanza colorante di altri elementi, cioè si creano nuove condizioni che costituiscano insieme un solo colore, oppure, in un altro caso, la tinta e la sua intensità.
La disciplina della rivelazione del colore, diciamo del verde, del rosso, del giallo, dipende in primo luogo dal colore chimicamente purificato e rivelato in quanto materiale e in secondo luogo dalla creazione delle circostanze con l'aiuto delle quali ci apprestiamo a rivelare il dato nel colore.
 A partire da questa situazione si può già osservare che ci è sfuggita la frontiera di rivelazione della purezza intensa di un dato colore, poiché le circostanze create per la rivelazione non potevano non esercitare la loro influenza e la loro forza sul colore da rivelare e il loro carattere di frontiera non si presta alla definizione.
Prendiamo un'altra esperienza. Supponiamo di essere riusciti a rivelare su una superficie piana un colore indifferentemente blu, o rosso, o verde. Abbiamo davanti a noi una tela dipinta col colore rivelato. Ci troveremo in presenza di una superficie piana rappresentante la superficie piana colorata.
Possiamo anche determinare la sua impenetrabilità. E allora, cosa sarà: la rivelazione definitiva della superficie piana colorata, oppure la rivelazione dello spazio, la dimostrazione che attraverso il tentativo di rivelare un determinato dato cromatico abbiamo rivelato non tanto il colore, quanto lo spazio? Proviamo a verificare se abbiamo rivelato davvero ciò che avevamo in mente. Disegniamo in basso su una tela il tetto di una casa, oppure tracciamo una linea, o inseriamo una nebulosità bianca. E ci accorgeremo che nella nostra coscienza il colore rivelato è venuto a trovarsi in una nuova circostanza e si è trasformato non in una superficie piana, ma in spazio.
II terzo enunciato sulla rivelazione si chiede in quali circostanze sia possibile rivelare la luce o il colore o un altro materiale; rispondendo a questa domanda, dirò che ogni cosa può essere rivelata quando si effettua l'isolamento assoluto della sostanza, quando questa viene sottratta a tutte le circostanze in generale. Se si potesse veramente arrivare a questo, il problema della rivelazione sarebbe risolto. Osservando lo sviluppo del lavoro pittorico si possono notare alcuni momenti del principio cromatico, tonale, e in seguito materiale, costruttivo.
L'epoca attuale del lavoro pittorico ha dato prova di una grande energia riguardo a tutte le rivelazioni possibili. Questo principio fu introdotto dall'elemento intermediario dei pittori che si tenevano al di fuori delle conoscenze soggettive dei fenomeni del mondo, partigiani del metodo oggettivo, dimenticando che nulla si può conoscere oggettivamente, ma soltanto attraverso un prisma o una personalità costruiti allo scopo.
Il fallimento degli elementi intermediari è inevitabile, giacchè presto si renderanno conto dell'impossibilità di dedurre anche un solo elemento dalla circostanza conosciuta della personalità soggettiva delle cose, così come di studiarlo oggettivamente; non c'è cosa che sia percepita da tutti in modo identico, poiché ogni circostanza conoscibile o è conosciuta da una personalità acuta, oppure è la personalità stessa che crea la propria deduzione soggettiva, o afferma la propria deduzione nel mondo.
Prevedo un inevitabile insuccesso generale di tutte le rivelazioni degli elementi, poiché di per sé gli elementi non possono rappresentare nulla, anzi non esistono neppure fino alla rivelazione del fenomeno o alla piena chiarezza del dato, quando sorge l'idea della cosa; è soltanto dal dato o dall'analisi del fenomeno che scaturiscono tutte le ricerche e solo in questo caso il lavoro sugli elementi e sui materiali puo essere produttivo.
Gli elementi intermediari nel lavoro pittorico in generale non possiedono un dato, per questo saranno sempre a favore del metodo oggettivo. Gli elementi intermediari si dimenticano che sotto l'oggettività il proprio compito consiste nel rappresentare o sviluppare innanzi tutto il dato oggettivo esistente. Essi stessi devono essere professori o esperti delle conoscenze soggettive e creare un metodo d'insegnamento attraverso cui chi studia possa rapidamente assimilare il fenomeno conosciuto dalla personalità.
A tutti i tentativi di rivelare il colore, la luce, di nuovo il colore, si è aggiunto un altro compito, la rivelazione dei materiali. Se ne può dedurre che l'uomo sia perennemente occupato soltanto dalle rivelazioni, e se mai è sorto qualcosa di pratico, significa che è sorto dal semplice bisogno di rivelazione. Non sono stati creati i mattoni perché bisogna costruire le case, ma perché a qualcuno è venuto il desiderio di rivelare la sabbia e l'argilla.
L'aeroplano in tal caso non è affatto derivato dal bisogno di elevarsi, ma dal prisma della rivelazione dei materiali. Allora, l'aeroplano è stato creato per la rivelazione dei materiali o, al contrario, tutti i materiali sono stati creati a partire dal bisogno di creazione dell'aeroplano? E’ l'atmosfera che rivela l'aeroplano, oppure l'aeroplano che rivela l'atmosfera? La mia opinione è che noi non riveliamo né l'uno, né l'altro, ma produciamo soltanto, diamo una forma alla reazione che è stata prodotta dall'azione reciproca di forze presenti in me e fuori di me; se ciò sia una necessità o un bisogno pratico, è difficile affermarlo realmente, ma tuttavia si può, ed è possibile che ci imbatteremo ancora in questa domanda nel futuro.
A partire dall'analisi del lavoro pittorico sulla rivelazione vediamo che il tentativo di rivelare la luce ha conosciuto una moltitudine di esperienze, le quali alla fine hanno dato il particolare concetto o nozione, secondo cui la luce può essere soltanto conoscenza (quale che sia la luminosità del colore o della luce, essa diventa chiara e luminosa solo con la conoscenza) e rivelare la luce significa dare una costituzione di forma al fenomeno, rendere il Sole e la Terra chiari, non rappresentare la luce sulla tela con un raggio di luce.
La coscienza pittorica ha via via approfondito il problema e a misura del suo approfondimento la luce è scomparsa dalla tavolozza come un qualcosa di autonomo, lasciando sulla tela o sulla tavolozza i dati che la producono, cioè gli elementi separati dello spettro.[12]
La cosa data non poteva non esercitare la propria influenza sulla coscienza pittorica, davanti a essa si dispiegava l'autenticità, cioè quella realtà con l'aiuto della quale è possibile produrre questo o quel dato, sapere che il colore e la semplice suddivisione della luce nelle sue parti costitutive, che è possibile unirle, cioè dar loro un progetto e introdurle nel tempo e ottenere il chiarimento di questo o quell'enunciato.
Di qui è possibile che per la prima volta venga la risposta alla domanda: che cosa è la pittura? In passato si affermava che la pittura derivasse dallo scopo di riprodurre in maniera viva questo o quel fenomeno della vita, di riflettere in modo autentico, di riprodurre ciò che vediamo, ma in seguito si è iniziato a sostenere che la pittura è una cosa avente valore in sé stessa, e a questo punto si sono affermate due interpretazioni: gli uni riconoscono la sua autonomia come fine a sé stessa, come qualcosa che crea e introduce nel mondo i fenomeni; gli altri stabiliscono una certa dipendenza dalla natura morta esistente o da un'altra cosa: riconoscono una certa dipendenza dal pretesto.
Così per pittura si intendono alcuni fatti d'azione che sono ben lontani dalla definizione iniziale della definizione vivente del fatto, ma è possibile che per pittura si debba intendere non solo un fatto trasmesso, riprodotto sulla tela o collocato nello spazio con la scultura, ma anche un fatto creato ex novo, costruito.
La tavolozza dei pointillistes ha dimostrato che la natura avvolta dal colore è lo stato dei movimenti cromatici e che la luce non è altro che un aspetto particolare della materia pittorica a una certa densità. Di una materia dove non vi e nulla di colorato e di isolato, ma dove tutto è soltanto introdotto in una determinata gamma aereo-luminosa.
II Pointillisme dal mio punto di vista ha svelato una grande forza scientifica e pittorica rimasta nell’ombra a causa dell'assenza di un istituto scientifico di ricerca che avesse la funzione di creare una scienza pittorica secondo l'esempio delle altre scienze.
Ogni invenzione o, come la chiama la comunità, ogni innovazione era accolta semplicemente con disprezzo dalla comunità stessa e dalla critica più accreditata. Questa rivelazione era per di più ostacolata dal fatto che la pittura e capitata su un cammino artistico ed estetico e non ha potuto conquistarsi la posizione che ha la scienza. Pur essendo fin nella profondità del proprio essere lo stesso fenomeno, non ha potuto far accettare il fatto che il pittore è uno scienziato conoscitore della natura al pari degli altri scienziati. La scoperta tramite le ricerche scientifiche del fatto che la Terra ruota o che un dato fenomeno possiede in sé queste o quelle interdipendenze chimiche non aveva assolutamente niente in comune né con il gusto, né con le combinazioni estetiche. La naturalizzazione del fenomeno è la scienza, la naturalizzazione del fenomeno pittorico è ugualmente la scienza.
Che la dichiarazione di Galileo sul fatto che la Terra si muova vi piaccia o no, non cambierà in nessun caso il fatto.
E’ vero che lo spirito innovatore di Galileo non piaceva ai suoi contemporanei, una simile naturalizzazione mal si accordava con il passato (esattamente lo stesso caso si verifica con la pittura), e che lo costrinsero per ingenuità a ritrattare, ma il fatto resta un fatto.
Che Einstein nelle sue dimostrazioni sia borghese o no, che il Cubismo e il Futurismo siano borghesi, che l'epoca contemporanea costringa a rifiutare un dato movimento di pensiero o no, il fatto resta un fatto.
Le nuove arti ruotano. Ciò che fecero i pointillistes è rimasto un fatto ed essi mi forniscono qualche dato sulla definizione se non altro della pittura stessa, e cioè che la pittura è innanzi tutto una materia simile alla luce, che la pittura è una massa in quanto risultato della costruzione degli elementi  colorati per ogni singolo caso del dato del pittore, che il suo significato generale e l'armonizzazione di tutti gli elementi di un tutto dato.
Ne deriva che la costruzione della pittura. vista come una sorta di materiale, può anche essere al di fuori degli stati luminosi. Se l'idea pittorica introduce in sé la luce, allora questa linea sarà una costruzione particolare nel tempo del colore.
In questo modo, per la prima volta, i pointillistes si sono scontrati in modo assolutamente inconscio con un nuovo mezzo in pittura, il tempo del movimento delle oscillazioni cromatiche. Si è presa coscienza di questo tempo soltanto nel Cubismo, di cui si parlerà a suo tempo.
Inoltre, i pointillistes hanno scoperto per la prima volta il colore sulla loro tavolozza e hanno preso coscienza del suo significato nell'arte pittorica. Per primi hanno introdotto la suddivisione dell'arte pittorica in due indirizzi: gli uni presero a lavorare sulla materia pittorica pura, sottraendola al potere della luce, formando il materiale pittorico; gli altri rimasero fedeli sulla tela al primo principio d'espressione dei fenomeni della vita, alla scultura. Perciò questi ultimi si trovano letteralmente sempre in dipendenza, oppure la lettera data serve loro da pretesto.
Nel primo caso, andando verso il materiale pittorico i pittori non potevano mettere il loro materiale in una forma già costruita e in una costruzione che risultasse non dalla necessità del materiale pittorico, ma da necessità pratiche particolari [13]. Nel secondo, il materiale pittorico era già fabbricato o derivava da una idea determinata e già per questo non era più adatto ai fenomeni esistenti. Ovviamente in questo caso non è escluso che il materiale pittorico di costruzione potesse essere utilizzato nel contesto di bisogni pratici.
A partire dalle ultime categorie indicate, si può vedere che alcuni rivelano letteralmente ciò che vedono (Siskin [14], Rousseau, trapassano la natura da parte a parte), altri rivelano soprattutto ciò che hanno dentro di sé, non mettono in azione la natura, e la lettera resta solo un punto di partenza per agire, oppure un pretesto a sua volta, che ha in parte conservato il proprio aspetto o la propria forma sullo schermo riflettente della tela, con grandi cambiamenti, con basi di ricostruzione, le cui cause consisteranno nella loro rifrazione dell'azione incontrata attraverso il prisma soggettivo del pittore o dello scultore.
Cercando di scoprire le cause per cui in un caso un pittore si mantiene letterale, aspira a trasmettere la riproduzione esatta della natura, un altro muove da essa e si attiene al suo pretesto, un terzo la rifiuta completamente e considera la natura un mezzo materiale per esprimere la concezione del mondo nel sistema dell'universo esistente nella sua rappresentazione, nella sua volontà creatrice di realizzazione; riflettendo sulla questione, ho chiarito a me stesso che tutti i passaggi della presa di coscienza pittorica si riducono a una sola questione: rivelare i fenomeni che si trovano dentro e fuori di me nella loro realizzazione spaziale creativa, racchiudere nello spazio l'armonizzazione del mondo conoscibile che si è accumulata in me. Ogni costruzione dell'uomo è un fatto di stabilizzazione di una conoscenza normalmente stabilita.
Nello spazio io non posso attuare altro che la rivelazione delle condizioni che si sono accumulate in me, poiché è soltanto nello spazio che posso vedere e percepire fisicamente le differenze che creano in me il tutto; lo spazio, in questo modo, come il tempo, rappresenta il mezzo attraverso cui posso verificare tutta l'idea della conoscenza che si trova nella mia condizione interiore. Realizzando l'idea, creo anche quello stesso spazio che non posso conoscere al di fuori dell'idea. In tal modo, lo spazio, così come il tempo, inizia ad avere un ruolo di primo piano nel problema pittorico, nella comprensione abituale che ne ha la comunità, ma anche in questo caso, secondo il mio punto di vista, si è insinuato un errore: il tempo e lo spazio sono diventati un elemento della rivelazione. La rivelazione dello spazio è l'analogo della rivelazione della luce, del colore, del materiale. Diverso è, invece, il discorso delle rivelazioni del tempo, dal momento che esso non esiste come elemento se non nella realizzazione spaziale di rivelazioni pittoriche o di altro tipo, che vadano dalle condizioni interiori a quelle esteriori, dal fatto rappresentato al fatto fisico reale.[15]

Lezione 3. Davanti al pittore è diventata sempre più chiara l'inevitabile cortina del tempo e dello spazio. Questo è divenuto un motivo decisivo e un ponte che la pittura deve inevitabilmente attraversare per entrare in una nuova condizione, lasciati sulla riva tutti i propri abiti storici e i propri mezzi. Deve lasciare anche la tavolozza e i pennelli e tutta l'esperienza, per quanto grande essa sia, come se non li amasse.  Più è grande l'esperienza pittorica, più bisogna allontanarsi dalla tavolozza.
Nell'attraversare lo spazio e il tempo, inizia la sua nuova storia, la sua nuova arte, la sua maestria e la sua esperienza. Il passaggio della pittura dalla riva bidimensionale a quella tridimensionale, e in seguito quadridimensionale, deve essere inevitabile, in quanto essa si è scontrata con il bisogno reale di rivelazione delle cose situate nel tempo con una tela bidimensionale. La tela non poteva dare un luogo a questa realtà poiché l'intimo del pittore era già passato alla tridimensionalità.
La tela bidimensionale non ha l'estensione del terzo valore e, di conseguenza, le variazioni del volume devono crescere nello spazio a partire da una base bidimensionale.
E' possibile cercare qui la giustificazione del principio di collage nel Cubismo.
Per il momento, finché non faremo un'analisi del Cubismo, limitiamoci a prenderne atto, e andiamo a esaminare l'ulteriore lavoro della pittura e il principio spaziale nel suo lavoro. Dall'analisi precedente vediamo che la tela bidimensionale non poteva soddisfare la presa di coscienza pittorica in sé della tridimensionalità.
E’ chiaro che la tela, in quanto mezzo di un piano puramente bidimensionale, deve andare fuori uso se, s'intende, il pittore si trova nell'evoluzione generale del realismo volumico.
Ma, evidentemente, il pittore aveva le proprie ragioni, poiché continua a operare con la tela, confermando la bidimensionalità. Questa constatazione mi ha obbligato a esaminare la tela e a stabilire che cosa essa rappresenti in se e quale ruolo giochi nel lavoro del pittore, che in un caso vi ha scoperto la luce, in un altro il colore, nel terzo la pittura e nel quarto cerca di risolvere il problema della costruzione pittorica spaziale.
Di conseguenza, la tela rappresenta il luogo abituale o la superficie piana su cui si svolge il lavoro del pittore per rivelare su questa i dati interiori ed esteriori. Se ciò è vero, allora sarà vera anche un'altra cosa, e cioè che ogni parte della Terra rappresenta la stessa superficie su cui si verificano rivelazioni di vario tipo o manifestazioni dello spazio e del tempo. La superficie della Terra, al pari della tela, avrà la stessa bidimensionalità ed è soltanto quando viene introdotto un punto che inizia la dimensione spaziale da questa o quella parte. Con l'introduzione delle diversità produciamo il loro dimensionamento dell'una con l'altra e l'estensione sarà anche lo spazio e il tempo. Cosi sulla tela lo spazio, per esempio la profondità, non esiste finche il pittore non vi introdurrà le differenze e stabilirà i loro rapporti reciproci.
Ma anche questa sensazione spaziale non sarà fisica, reale, bensì soltanto un'impressione di viva autenticità esistente nell'intimo del pittore.
In tal modo la tela e il luogo in cui il pittore cerca di rivelare tutto ciò che si trova in movimento, cioè inserito nel tempo reale delle cose spaziali in se. Cosi, per esempio, volendo rivelare il complesso degli elementi costruito dalle sensazioni fisiche nella mia presa di coscienza interiore, devo ripetere tutto sulla tela. Compiere tutto il lavoro per rendere in modo autentico la mia condizione interiore del reale. In che modo si sia formato in me il reale che penso di far pervenire nel mondo esteriore per una nuova percezione fisica.
La tela pittorica come esperienza fisica dice che tutta la superficie è dipinta da una sola sostanza, di conseguenza la tela deve anche rappresentare questa sostanza unica, rivelata sotto l'aspetto del colore o della luce, del materiale.
Procedendo oltre risulta che una stessa materia, collocata in un rapporto spaziale, ha creato questo o quel dato che in un luogo e diventato acqua, in un altro albero, casa, nuvola, ecc.
Di conseguenza una sola e unica sostanza, il colore, trasferita in una circostanza differente, crea questa o quella parte del dato, dando origine a delle diversità.
Tutto questo processo di traslazione vivente della stessa sostanza nello spazio si verifica presso il pittore, e la tela con le macchie che le sono state apportate, le sue figure geometriche o i suoi oggetti figurativi è solo una semplice annotazione e designazione di quei luoghi che presso il pittore erano in un rapporto spaziale vivente, al di fuori o all'interno del suo lavoro spaziale.
Qui termina l’operazione del pittore con la tela, sopraggiunge il quarto stadio, lo stadio del Cubismo pittorico, il quale segna il momento della rottura definitiva con la tela e il passaggio dell'essenza pittorica a una condizione tridimensionale e quadridimensionale, di cui parlerò nella mia lezione sul Cubismo.
Lo spazio, come il tempo, ha mostrato il grande cambiamento d'aspetto di una stessa essenza pittorica, avendo raggiunto nel Cubismo il più alto punto di tessitura pittorica, come si può vedere dalle opere di Braque, di Pablo Picasso, per esempio nella Dama con ventaglio, e da molte altre opere. La pittura ha iniziato a disgregarsi. Disgregazione non significa caduta, poiché non si tratta del valore della materia pittorica, ma soltanto dello scopo finale che scaturisce dalle sue viscere. Qui noi dobbiamo fissare soltanto il suo nuovo aspetto in una nuova circostanza di tempo e di spazio.
Numerosi attacchi dei partigiani dello stato pittorico bi- e tridimensionale gridano alla caduta dell'arte pittorica, ma dimenticano che le cose non si limitano, malgrado tutto, a una buona tessitura della tela pittorica; bisogna anche saperle far passare dal loro unico stato bidimensionale alla vita volumica, spaziale. L'essenza delle tele, delle tessiture pittoriche, non consiste tanto nella loro bellezza, quanto in ciò che esse esprimono.
Lo spazio e il tempo non hanno solo influito sul pittore, sulla sua coscienza, ma anche su tutta l’altra vita. L'uomo ha sentito se stesso nel tempo, quarta dimensione, attraverso cui ha preso a misurare ogni proprio passo e tutte le relazioni reciproche della propria multiforme realtà che gli era sconosciuta.
Di conseguenza, qui non si tratta solo della conservazione del valore pittorico ottenuto, ma anche di tutta la cultura umana, del suo realismo nella propria totalità, dell'intero edificio della cultura tridimensionale. La lotta contro l'elemento naturale dello spazio e del tempo e la lotta contro una nuova condizione che minaccia di distruggere tutta la cultura tridimensionale e, in particolare, la cultura dell'arte.
Non per nulla tutti gli anziani di ogni epoca sbraitano con tanta forza e spaventano i più giovani, dicendo che il nuovo è un "pidocchio" che soppianta la cultura antica con il proprio spazio e il proprio tempo borghesi, e in un altro caso dicono che solo gli idioti non riescono a comprendere il significato che la cultura classica dell'antichità ha per la futura generazione del proletariato. Essi dimenticano che il proletariato non è [illeggibile], ma futuro. Certamente, anche gli innovatori possono ribattere agli amanti del passato che il futuro e chiuso soltanto agli idioti e ai vecchi, ed è per questo che essi vanno nel passato, mentre per loro, entrati nello spazio e nel tempo, la realtà del movimento è ben più significativa, più multiforme, dei sarcofagi a tre dimensioni della bella antichità.
Ovviamente, si delinea una situazione seria: la cultura su un fondamento a tre dimensioni e minacciata da una morte inevitabile, la morte delle sue forme; essa si disgregherà o si polverizzerà nello spazio del movimento. L'uomo passa a una nuova condizione del tempo e non può, ovviamente, costruirvi le antichità della tridimensionalità, poiché il volume si trova nel tempo e non può essere consolidato su fondamenta. Non si riesce a comprendere che stiamo vivendo i nostri ultimi giorni nelle nostre antiche case "colonna-acanto-formi", ci si dimentica che, essendo nel tempo, bisogna cercare forme nuove, poiché nuove circostanze ci accerchiano e ci assorbono in un vortice.
Ovviamente l'arte pittorica è destinata a dissolversi in tale vortice, ed essendo composta di una sola e unica sostanza bisogna ritornare indietro all'elemento primario per riorganizzarsi nella forma del tempo in cui si trova la coscienza dell'uomo.
Ciò è inevitabile tanto quanto è inevitabile alla luce che colpisce un prisma di dissolversi nei colori. Il nuovo prisma è il tempo e, naturalmente, poiché qualcosa vi è stato introdotto, il tempo non tanto diminuisce la propria realtà, quanto la approfondisce. La questione risiede soltanto nel fatto che molti riconosceranno in tutte le circostanze un solo e unico uomo, una sola e unica sostanza.
 E’ possibile che in passato un normale tavolo non fosse percepito nella sua realtà a tre dimensioni, ma solo in quella a due, e anche che in un passato ancor più remoto non fosse percepito affatto.
L'introduzione delle cose nel tempo manifesta anche un'altra dimensione fra le proprie diversità.
Ovviamente la quarta dimensione è sempre esistita, poiché vi si trova tutto, ma fino a oggi non ne abbiamo ancora preso coscienza. La proporzione e il legame non sono completamente chiari neppure al tecnico o al tornitore che protesterà con tutte le proprie forze contro il Cubismo e, nondimeno, lavorando il proprio oggetto, lo fa ruotare e lo proporziona solo attraverso la quarta dimensione.
II Cubismo all'esordio dei suoi stadi pittorici conduce la pittura a un punto supremo, rivelando le sue diversità di costruzione attraverso la quarta dimensione. Ma tutto ciò si riferisce alla forma e ai momenti di costruzione dei rapporti reciproci della massa pittorica, della sua ripartizione nel tempo, come pure della forza della sua oscillazione dinamica. Dalla forza di oscillazione dipende anche la realtà di questo o quell'altro caso. Qui mi rifarei al punto in cui richiamo l'attenzione sui centri di ascensione dinamica del sapere umano, che va immancabilmente nel turbine del tempo, faccio questo rimando allo scopo di rappresentarmi più chiaramente il momento della realizzazione suprema della qualità del valore pittorico del colorato e della sparizione del colorato nella circostanza dei raggi d'assorbimento che sono rivelati nei centri superiori della cultura umana.
Vediamo in questo modo il fondamento legittimo dei mutamenti pittorici che costituiscono l'anello o l’orbita del proprio movimento; partendo dal proprio afelio, il colore raggiunge la massima densità pittorica nel centro; muovendosi verso il perielio, la densità pittorica a poco a poco si dissolve e si accende d'un colore vivo nel perielio; andando oltre, verso il centro opposto della propria orbita, forma una nuova densità opposta di consistenza incolore.
II periodo suprematista mi ha convinto di ciò quando nel suo prisma di movimento del colore sono state bruscamente delineate tre condizioni nel quadrato rosso, nero e bianco.
E’ possibile che unendo questi momenti al movimento generale veniamo a trovarci in uno dei punti dell'orbita dove la nostra presa di coscienza non è colorata dall'uscita dalla sfera del colore, siamo andati su un prisma che e rimasto impenetrabile ai raggi del colore, oppure essi ricevono un nuovo stato incolore. E’ possibile dedurne che la sostanza è al di fuori del colore e che la colorazione delle particelle non è che un caso della circostanza.
Nelle ultime opere del Suprematismo bianco, tuttavia, non è possibile notare che il bianco è stato ottenuto dall'oscillazione fisica di raggi colorati, che abbiamo un nuovo fatto di luce bianca. E’ possibile che ci sia qualche traccia di questo movimento presunto, ma in ogni caso non è che un elemento, il quale è inevitabile nel movimento della coscienza integrale che va immancabilmente verso la creazione dell'opera al di fuori di qualsiasi diversità, preferenza; muovendosi verso l'uguaglianza, aspira alla propria condizione al di fuori di ogni diversità.
La città come centro umano superiore mostra che il carattere colorato nel suo prisma sparisce dallo spettro. Se, secondo la mia supposizione, procederemo oltre nello stesso ordine di ascensione con cui siamo andati dal centro della campagna alla città, allora suppongo che anche le città sotto forma di capitali debbano andare verso la formazione di un nuovo centro, direi di un centro di tutti i centri, che formi quell'Ercole intorno cui ruoteranno tutte le capitali. In questo modo otterremo una nuova capitale unica del movimento dell'uomo tecnico o spiritual-tecnico. In questo modo l'uomo avrà un solo centro, come i nostri pianeti e il Sole, e il Sole con la moltitudine degli altri sistemi solari avrà il proprio Ercole, intorno al quale tutti ruoteranno e formeranno l'uguaglianza di equilibrio nell'intero sistema.
E’ possibile che la nozione di bianco e di nero trovi un'altra interpretazione (proprio sul bianco è possibile fissare uno scopo, cioè il luogo in cui la differenza non sarà visibile), che anche l'aspirazione delle dottrine umane sull'uguaglianza venga compresa nel nero o nel bianco, in modo che lo sfondo che si forma dall'introduzione o dall'apparizione di un fatto rilevante non esista. E’ questo centro supremo dell'unico comune che io chiamo "bianco".
Lasciando la questione del bianco a una ulteriore interpretazione nelle nostre future riflessioni, non voglio tralasciare una delle posizioni sul carattere colorato nel Cubismo. E’ noto che i cubisti occidentali, essendo giunti nella pittura allo spettro scuro, hanno preso, come dicevano loro, a colorare la propria tavolozza; in altri termini, a dedurre o a introdurre nella materia pittorica il carattere colorato. Quale sia stata la causa che li ha spinti a questo non si sa, ma si può supporre che sia stata una causa di necessità estetica. E’ possibile che questa causa sia stata soltanto uno dei pretesti che svela le cause completamente diverse cui ho fatto menzione nelle questioni sui centri e nel grafico del movimento del colore.
Tuttavia, i cubisti russi sono stati i primi a costruire il prisma inverso dell'azione, prisma attraverso cui la pittura si è suddivisa nei colori. Anche i cubisti occidentali provavano questo bisogno, ma non era stata chiarita la causalità. Noi di questa causa non possediamo altra argomentazione che il motivo estetico. I cubisti russi cominciarono a percepire quel luogo nell'orbita del movimento pittorico in cui il mondo dell'essenza pittorica entra nel colore, nel momento in cui la densità pittorica si polverizza in una serie di colori che è possibile fossero più intensi di quanto non lo erano prima della formazione della densità pittorica in generale. Prendendo parte a questo lavoro pittorico della nuova densità pittorica, e anche della sua polverizzazione nei colori, sono riuscito a far risaltare il colore come principio primario del tempo dato nel primo gruppo del Suprematismo.
Ripeto che tuttavia non si trattava della rivelazione del colore in quanto tale. Qui era chiaro che l'essenza pittorica aveva un dato più grande della rivelazione degli elementi del colore, che non era il momento analitico, ma solo il dato integrale, persino la nozione, il fatto che rappresenta la questione, e la nozione passa nella banda analitica della ricerca scientifica della pittura, della pittura che io ho preso in parte ad analizzare e ad argomentare.
In uno dei miei scritti ho fatto notare che la pittura non è soltanto un affare strettamente professionale, un semplice mestiere, ma è anche lo spiraglio attraverso cui è possibile esaminare il mondo degli altri fenomeni.
Tracciando diversi grafici della ricerca cromatica, non potevo non soffermare l'attenzione sul fatto che ogni fenomeno ha la propria colorazione e così ho iniziato a stabilire il livello e lo sviluppo del fenomeno dato in base al colore. Lo scopo in questo modo e stato ampliato dall'introduzione di una classificazione in base al tempo di queste o quelle opere colorate e anche di una istituzione del grado di sviluppo della coscienza non solo pittorica, ma anche dell'uomo.
In questo modo il lavoro pittorico non è così angusto, ma ampio, abbraccia un grande dominio e penso che in futuro il lavoro iniziato troverà dei continuatori.
L'epoca contemporanea in base al mio grafico cromatico è una banda colorata, ma questa banda non rappresenta una semplice colorazione estetica, qui la colorazione non colora l'opera, quanto, piuttosto, la coscienza.
Le rivoluzioni economiche non si sono compiute sotto un colore qualsiasi, ma sotto il rosso, e anche questo rosso è suddiviso nelle diverse forze della propria intensità, tanto che nel processo di sviluppo della forza del solo colore rosso si sono ottenute grandi differenze. Così la rivelazione russa del colore rosso risulta più viva di quella del socialismo occidentale. La coscienza della Russia è colorata più vivacemente. Mi è capitato di sentire la spiegazione di un socialista, sul significato della bandiera rossa nella rivoluzione: il rosso rappresenterebbe il sangue degli operai. Ma io penso che se il sangue degli operai fosse blu, la rivoluzione avrebbe lo stesso come simbolo la bandiera rossa.
E’ possibile fare un'analogia fra le due rivoluzioni. I rivolgimenti socialisti, espressi nelle diverse forme dei partiti, che minavano le sole basi economiche, la sola coscienza stabilita, sono paragonabili alla rivoluzione pittorica, ai rivolgimenti cubisti della coscienza pittorica stabilita.
I raggruppamenti socialisti sono quegli stessi raggi colorati che hanno attraversato il prisma opposto dell’affrancamento e aspirano di nuovo a unirsi in una nuova costruzione a misura della nuova coscienza.
In questo caso la rivoluzione pittorica ha compiuto un grande percorso fino all'estremo limite, al di la del quale viene il bianco mondo incolore delle uguaglianze.
Anche la rivoluzione politica ed economica si presenta come una tavolozza pittorica colorata. La coscienza di ogni raggruppamento politico ha il proprio colore. La coscienza politica non solo l'ha colorato, ma gli ha dato anche una propria forma che prende il nome di "Internazionale". L'Internazionale è già una tavolozza di colori nuovi che devono costituire un corpo unico incolore, uscendo da tutte le diversità per dirigersi verso l'unità e l'uguaglianza. L'Internazionale in tal modo è una nuova forma di costruzione in quanto essenza delle masse popolari. Come la massa pittorica. Ma né l'una né l'altra saranno riconosciute.
Ma nel raggruppamento politico abbiamo più Intemazionali, in numero di tre che, a quanto pare, cominciano il loro computo soltanto con il colore giallo dell'Intemazionale, intensificando a poco a poco la propria colorazione, portando la forza fino al rosso, o alla Terza Internazionale, e se si prolungasse ancora questo raggruppamento politico della società, allora l'intensità del rosso si metterebbe in movimento, andando dal perielio al centro, cioè verso una nuova forma incolore di uguaglianza.
Ma su questa strada c'e ancora un raggruppamento politico, il raggruppamento dell'anarchia che, sembra, ha una bandiera nera, il cui significato può essere spiegato col fatto che nel nero non ci sono diversità, non si distingue nulla, tutto è uguale. E poiché nella sua bandiera nera c'e l'idea di liberazione della personalità, considerata come qualcosa di isolato e di unico, l'idea dell'anarchia deve passare al bianco in quanto sostanza priva di diversità, immutabile in tutti i suoi aspetti.
In questo modo la tavolozza dei colori sparirà sia nei raggruppamenti politici che in quelli pittorici.
Così, concludendo il mio ragionamento sulla luce e sul colore, devo spendere ancora qualche parola sul fatto che a partire dalle ultime riflessioni vedo che tutto si colora di questo o di quel colore, che ogni idea nell'uomo ha la propria colorazione, il proprio colore. Che cosa rappresenta dunque l'idea? Dal mio punto di vista l'idea rappresenta un prisma attraverso il quale si rifrange il mondo conosciuto, l'idea e il dato.
L'uomo, secondo il mio ragionamento, è solo un sofisticato apparecchio tecnico, sorto dai contatti con molte circostanze, e l'idea è semplicemente un prisma lungimirante, in qualche caso pratico, attraverso il quale i dati si rifrangono in una circostanza diversa, più pratica di quanto non fosse in precedenza.
Così, in questo caso abbiamo un solo dato che si rifrange in un'altra realtà, la quale diventa l'essere di un fatto appena costruito.
Per il solo fatto che il mondo attraverso il prisma dell'uomo si rifrange in modo diverso, nascono discussioni le quali hanno, a loro volta, un fine: stabilire una verità, un'autenticità. Se il mondo si rifrangesse in ognuno allo stesso modo, allora non ci sarebbe un altro ragionamento, un altro pensiero, bensì soltanto un pensiero unico. Ma grazie al fatto che ogni prisma, coscienza della personalità, è costruito in modo diverso, esso rifrange la circostanza in modo diverso e la colora di un altro colore. Noi possiamo determinare ciò che è autentico e ciò che non è autentico soltanto da un punto di vista ristretto, in modo assai convenzionale, non sappiamo in realtà quale sia il colore autentico, se effettivamente il verde, il blu o il rosso esprimano in se stessi il proprio limite definitivo; ed è possibile che questo stesso colore blu o rosso, capitando in una delle circostanze, cambi tutta la propria forza. Infatti ci troviamo nell'eterno processo di due interdipendenze di forze situate all'interno e all'esterno. L'uomo in questo modo rappresenta l'apparecchio dell'eterno fervore delle reazioni che creano ciò che noi chiamiamo le cose umane. Sono coscienti o no? Ognuna delle azioni dell'uomo è la conseguenza di giudizi meditati, oppure è un semplice fatto incoscio dell'azione di queste o quelle circostanze che creano nuove reazioni?
E di che cosa si può in realtà avere coscienza nell'azione infinita e al tempo stesso nel riposo eterno del mondo?
Si può dividere il mondo in organico e inorganico quando non è possibile isolare, sottrarre al riposo etemo, né aggiungere nulla, quando non è possibile rivelare un'unità isolata a partire dalla vibrazione eterna e indissolubile delle forze che ora si ammassano e ora si polverizzano?
Nel mondo si verificano solo due azioni, l'agglomerazione e la polverizzazione, esistono due prismi di azione diretta e inversa, attraversati da una sostanza inalterabile o da un "qualcosa" simile alla luce che ha una realtà su un lato del prisma e un'altra sull'altro.
E quest'ultimo fatto dirà soltanto che il vero "qualcosa" è incolore, poiché soltanto le circostanze sono colorate. Dal momento che esso è al di fuori del colore, e anche al di fuori della forma, e anche al di fuori dello spazio e del tempo.
L'uomo compie instancabili tentativi di rivelare l'autenticità, vuole togliere la maschera alle azioni del mondo per gettare uno sguardo sul Volto autentico; si è suddiviso in specialisti che hanno suddiviso fra loro il mondo in pezzi, affinché ciascuno nella propria professione cerchi di cogliere-rivelare l'autenticità della causa. Ma si è davvero riusciti a suddividere il mondo in aree di professioni, si è davvero dimostrato che il mondo si compone di una determinata quantità di dati?
E ne risulta che meno sono le aree, più professioni ci sono.
Tutte le professioni inventano una quantità infinita di strumenti, di prove scientifiche, ma non si riesce a cogliere l'autenticità.
I pointillistes volevano rivelare la luce, si sono scontrati con il colore, il prisma scientifico ha dimostrato loro che la luce è il risultato del movimento del colore, che il colore, capitato in una situazione appropriata, è diventato luce, ma non colore. Questa, però, è solo una delle combinazioni delle circostanze del mondo; non potrebbero anche tutti i nostri prismi scientifici essere le stesse combinazioni in cui una sola e unica cosa sembra presente in una grande quantità di forme?
Tutti sono sicuri e basano la loro negligenza sulla legge e sul fatto che ciò che è costruito e argomentato sulla base della legge è autentico, certo.
Oh! Se si potesse costruire tutto sulla legge, la questione sarebbe chiusa, avremmo raggiunto l'assoluto.  Ma, ahimè, tutte le nostre leggi non sono che leggi di leggi. Ed è proprio perchè sono leggi di leggi che si apprestano a cogliere ciò che vive al di fuori di qualsiasi legge.
Il mondo si è costruito al di fuori delle leggi, non c'e un continente dove un ingegnere abbia posato la prima pietra, non ci sono né pareti, né soffitto, né pavimento, né tetto, non c'è un punto d'appoggio, né un punto di legame delle capriate che sommino in sé il dato finale, il mondo è al di fuori di ogni determinazione e di ogni dato.
Ma noi, senza scoraggiarci, lavoriamo con orgoglio sulle chiavi scientifiche per scoprire il mondo, affiliamo l'ascia e l'ingegno per aprire uno spiraglio, ma l'ascia non affonda, così come non entra la chiave: per la prima non esiste qualcosa di solido e per la seconda non c'è il buco della serratura.
Nonostante questo, siamo tutti convinti che la scienza abbia aperto delle brecce, abbia formato dei buchi; andate a vedere il mondo, e scoprirete che chiunque vi si avvicini, avrà una visione diversa; così per ognuno il mondo è un teatro sempre nuovo di spettacolo.
Questo attore del mondo si nasconde, come se avesse paura di mostrare il proprio volto, paura che l'uomo gli strappi la maschera dalle numerose facce e conosca il suo volto autentico.
Così quest’attore ha un solo fine: sono i raggi di assorbimento, il raggio nero.
Là si spegne la sua autenticità, sul prisma c'è soltanto una piccola striscia nera, come una sottile fenditura, attraverso cui vediamo soltanto l'oscurità, inaccessibile a qualsiasi luce, alla luce del sole e alla luce del sapere. In questo nero termina il nostro spettacolo: e là che è entrato l'attore del mondo, dopo aver nascosto le sue numerose facce poiché non ha un volto autentico.

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[1] . Inizia in questo punto la prima di tre annotazioni aggiunte da Malevič alla fine del manoscritto.
[2]. Fine della prima aggiunta sottoscritta nell'originale "K<azimir>".
[3]. Nel febbraio 1914 Marinetti ha compiuto una tournée in Russia, suscitando vivaci polemiche tra gli esponenti dell'avanguardia russa.
[4]. Allusione al titolo della raccolta poetica di K. Bal'mont Budem kak Solnce (Saremo come il Sole), 1903.
[5]. Il termine faktura (fattura), insieme con sdvig (spostamento), era entrato nel linguaggio corrente della pittura dell'epoca in seguito al noto articolo di David Burljuk "Kubizm" (Cubismo), pubblicato nel volume Poščečina obščestvennomu vkusu (Schiaffo al gusto del pubblico), Moskva, 1912, e al libro di Vladimir Markov Faktura (Fattura), Sankt-Petersburg, 1914. Faktura indica non solo la maniera propria di un artista di realizzare materialmente, di mettere in opera procedimenti tecnici, ma lo strumento stesso, la specificità intrinseca dei materiali di cui l'artista dispone. Non traduciamo faktura con "testura", poiche il vocabolo italiano non appartiene allo stesso registro linguistico di quello russo; manteniamo invece il termine "fattura", sottolineando queste implicazioni particolari del russo.
[6]. In questo punto inizia la seconda annotazione aggiunta da Malevič alla fine del manoscritto.
[7]. Fine della seconda aggiunta.
[8]. Per il termine sdvig, "spostamento", vedi la precedente nota 5.
[9]. In questo punto inizia la terza annotazione aggiunta da Malevič alla fine del manoscritto.
[10]. Fine della terza aggiunta.
[11]. Allusione allo Zorved (da zorkoe vedanie, vista acuta), Centro di visiologia, sezione del GINCHUK. fondata da Matjušin con la collaborazione di Boris Ender, dove si conducevano esperimenti sulla possibilita della "visione allargata": questa risaliva "geneticamente" al concetto di "quarta dimensione", assai popolare negli anni Dieci fra i futuristi che si rifacevano agli scritti di Pëtr Uspenskij (1878-1947) dedicati alla quarta dimensione e alla geometria non-euclidea (Četvërtoe izmerenie [La quarta dimensione], Sankt-Petersburg, 1909, II ed. Sankt-Petersburg, 1914; Tertium Organum, Sankt-Petersburg, 1911. Cfr. Povelihina, Alla. "Matyushin's Spatial Sistem", in: The Structurist, n. 15-16, 1975-1976, pp. 64-70).
[12]. "Con la caccia alla luce i pittori cercavano attraverso la luce di chiarire in modo esauriente il fenomeno per la propria coscienza o per la conoscenza del fenomeno" (nota di Malevič).
[13]. La rivelazione del materiale; il bisogno estetico e uguale alla rivelazione del ritratto nel senso abituale delle Belle Arti" (nota di Malevič). 
[14]. Ivan Siskin (1832-1898), uno dei principali esponenti della pittura naturalista russa, noto soprattutto per i paesaggi boschivi.
[15]. "Ovviamente, il fatto è contestabile; dove avviene la realizzazione e dove la semirealizzazione?" (nota di Malevič).